- di Michele Paris
- I governi di Giappone e Corea del Sud qualche giorno fa hanno finalmente raggiunto un accordo su una delicata questione risalente a oltre settant’anni fa e che aveva guastato i rapporti tra i due paesi, alleati fondamentali degli Stati Uniti in Asia orientale. Tokyo e Seoul hanno cioè formalmente messo fine alla disputa sulle cosiddette “donne di conforto”, chiudendo, almeno a livello ufficiale, una ferita che gravava pesantemente sui progetti asiatici di Washington in chiave anti-cinese.
- Il termine inglese “comfort women”, con il quale si definisce generalmente la vicenda a livello internazionale, si riferisce a quelle che negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso erano vere e proprie schiave sessuali, rapite o reclutate con l’inganno in svariati paesi asiatici - principalmente Corea del Sud, Cina e Filippine - e costrette a lavorare come prostitute per i soldati dell’esercito imperiale giapponese. Comfort women
- Le stime sul numero di donne che subirono questo trattamento non sono unanimi, anche se gli studi più autorevoli sostengono che sarebbero state almeno qualche centinaia di migliaia nel periodo precedente e durante la Seconda Guerra Mondiale.
- A inizio settimana a Seoul, in ogni caso, i ministri degli Esteri dei due paesi si sono incontrati per annunciare l’intesa sulla questione. Il giapponese Fumio Kishida ha presentato le scuse, sia pure limitate, del proprio governo e ha promesso il pagamento una tantum di una cifra pari a 8,3 milioni di dollari a un fondo creato dalla Corea del Sud a favore delle 46 vittime ancora in vita.
- “La questione della ‘donne di conforto’, con il coinvolgimento delle autorità militari giapponesi dell’epoca - ha affermato il capo della diplomazia di Tokyo - fu un grave affronto all’onore e alla dignità di un gran numero di donne e il governo del Giappone è dolorosamente consapevole delle proprie responsabilità”.
- Kishida ha poi riferito le “più sincere scuse e il rammarico” espressi dal primo ministro, Shinzo Abe, a “tutte le donne che sono passate attraverso esperienze incalcolabilmente dolorose e che sono state ferite fisicamente e psicologicamente” nel loro ruolo forzato di “donne di conforto”.
- Da parte sua, il ministro degli Esteri sudcoreano, Yun Byeogn-se, ha assicurato che la diatriba sarà “finalmente e irreversibilmente risolta”, a condizione che il governo giapponese “implementi senza indugi le misure concordate”. Yun ha anche acconsentito a discutere la rimozione di una statua dedicata alle “comfort women” eretta nel 2011 di fronte all’ambasciata giapponese di Seoul.
- Il ministro giapponese Kishida è stato ricevuto anche dalla presidente sudcoreana, Park Geun-hye, e, secondo i media, quest’ultima lunedì avrebbe parlato telefonicamente con Abe per suggellare l’accordo. I due leader si erano incontrati per la prima volta dall’inizio dei rispettivi mandati lo scorso novembre, quando avevano raggiunto un’intesa per risolvere la questione delle schiave sessuali coreane. Comfort women
- La stessa presidente Park aveva descritto quello delle “donne di conforto” come il “principale ostacolo agli sforzi per migliorare le relazioni bilaterali”. La questione aveva infatti avvelenato il clima tra i due più importanti alleati di Washington in Estremo Oriente. A ciò aveva contribuito in maniera decisiva l’arrivo al potere di due leader intenzionati a fare leva sui sentimenti nazionalisti nei rispettivi paesi. Un presidente sudcoreano e un primo ministro nipponico non si incontravano dal 2012.
- Proprio il fatto di avere nutrito le frange nazionaliste interne, la presidente Park e il premier Abe potrebbero incontrare difficoltà a fare accettare l’accordo appena siglato nei rispettivi paesi. Inoltre, le “donne di conforto” sudcoreane sopravvissute hanno subito criticato l’intesa, sottolineando la modestia delle concessioni fatte dal Giappone.
- Particolarmente dura è stata la reazione di una delle principali organizzazioni a difesa dei diritti delle “comfort women”, il Korean Council for the Women Drafted for Military Sexual Slavery in Japan, che ha definito l’accordo “scioccante” e una “umiliazione” che ha “spazzato via 25 anni di progressi” diplomatici.
- A Tokyo, invece, non sono mancate le voci che hanno espresso soddisfazione. Anche tra l’opposizione al governo sono state registrate parole di elogio per l’accordo con Seoul, a conferma dell’esiguità delle iniziative prese dalla parte giapponese per risolvere la contesa.
- Anche se non riconosciuto dalle due parti, la risoluzione del conflitto sulle “comfort women” è stato in qualche modo favorito dagli Stati Uniti. Gli attriti tra Seoul e Tokyo sono da tempo motivo di preoccupazione per l’amministrazione Obama, impegnata nel tentativo di serrare i ranghi tra gli alleati americani nel quadro della cosiddetta “svolta asiatica”, ovvero l’insieme delle manovre diplomatico-economico-militari in atto per contrastare l’ascesa della Cina nel continente.
- L’allineamento strategico tra Giappone e Corea del Sud è in questo scenario un requisito fondamentale per gli Stati Uniti, i quali hanno cercato di far riconciliare i due alleati fin dal 2012, quando Washington dovette incassare il mancato accordo di condivisione di informazioni di intelligence in ambito militare tra Tokyo e Seoul a un passo dalla firma.
- Da allora si è assistito a numerose provocazioni da entrambe le parti, tra cui nell’agosto del 2012 il viaggio dell’ex presidente sudcoreano, Lee Myung-bak, alle isole contese con il Giappone Dokdo/Takeshima e quella del premier Abe nel dicembre dell’anno successivo al tempio Yasukuni, dedicato a svariati criminali di guerra giapponesi. Donne di conforto Comfort women
- Le pressioni americane non sono comunque mai mancate, visto che l’escalation militare progettata da Washington in Asia è stata finora ostacolata almeno in parte dalle frizioni tra i due alleati. Obama stesso, ad esempio, nel corso di una visita a Seoul nel 2014 aveva definito la questione delle “donne di conforto” come una “grave violazione dei diritti umani”, insistendo poi con i leader dei due paesi per fissare un faccia a faccia al più presto.
- Nelle intenzioni statunitensi, l’intesa dei giorni scorsi dovrebbe spianare la strada a una maggiore integrazione non solo tra Giappone e Sud Corea ma anche tra questi e gli altri paesi allineati strategicamente a Washington in Asia orientale. Non a caso, il magazine on-line The Diplomat, dedicato alle questioni asiatiche e dell’area Pacifico, ha salutato l’accordo prospettando un possibile prossimo ingresso di Seoul nel trattato di libero scambio denominato Partnership Trans-Pacifica (TPP), promosso dagli USA.
- Il TPP, di cui fa parte il Giappone, è d’altra parte il meccanismo con cui Washington intende cercare di limitare l’influenza cinese nell’area Asia-Pacifico sul fronte economico. https://www.celticsblog.com/users/antonsengram8
- Nonostante gli sforzi americani, però, l’accordo sulle “comfort women” non esaurisce i motivi di scontro tra i due paesi, all’interno dei quali ha trovato inoltre sempre maggiore spazio in questi anni la destra nazionalista contraria a qualsiasi apertura o dialogo. Comfort women
- Le contese che possono continuare a guastare i rapporti bilaterali, a cominciare da quelle già ricordate attorno alle rivendicazioni territoriali nel Mare del Giappone, sono state e rimangono numerose tra Tokyo e Seoul e, in larga misura, discendono dall’eredità tossica dell’occupazione nipponica della penisola di Corea, terminata soltanto nel 1945.
- https://www.altrenotizie.org/esteri/6810-comfort-women-tokyo-e-seoul-trovano-lintesa.html
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